Soluzioni per la riduzione della violenza dei gruppi di pastori nel Sudan-Sahel

Membri della tribù Dinka, Sud Sudan (circa 2018) Membri della tribù Dinka, Sud Sudan (circa 2018) © Randy Fath su Unsplash

Questo articolo è un breve riassunto del report di Peace Insight sulla violenza dei gruppi locali in Sudan-Sahel

L’obiettivo della ricerca a cura di Hamma Qadir della Columbia University è di proporre soluzioni plausibili per risolvere i conflitti e gli episodi di violenza tra i pastori e contadini nella macro regione Sudan-Sahel. Sebbene queste dispute per il controllo del territorio e delle risorse siano iniziate come un fenomeno prettamente circoscritto alla realtà locale, negli ultimi anni si sono intrecciate sempre di più alle più ampie  dinamiche di sicurezza regionale. La metodologia del paper si basa sulla costruzione di un framework teorico basato  su  una serie di pratiche, teorie, consuetudini di risoluzione dei conflitti a livello locale e sulla partecipazione e l’influenza dei principali attori coinvolti. Il risultato di questa analisi è una lista di sei raccomandazioni da attuare per promuovere una possibile risoluzione del conflitto.

Dopo aver brevemente introdotto gli eventi storico-politici più rilevanti dei conflitti tra Sudan e le fazioni ribelli, l’autrice prende in esame l’origine dei conflitti tra pastori (generalmente di etnia araba) e contadini (di origini prettamente della regione del Darfur). Causati principalmente da dispute territoriali e dalla scarsità di risorse naturali, questi conflitti hanno generato ulteriori violenze che si sono estese fino a comportare l’ascesa di nuovi gruppi ribelli ed estremisti che tutt’oggi costituiscono una seria minaccia per la stabilità della regione e la pace e sicurezza internazionali. L’autrice quindi suggerisce l’implementazione di una serie di iniziative a livello locale che alimentino efficacemente  una duratura e pacifica coesistenza tra le parti in conflitto. Queste sei raccomandazioni sono:

  • Comprendere il valore del “capitale sociale” tra i gruppi pastorali

L’autrice riconosce che il capitale sociale all’interno di una particolare comunità è un elemento molto importante nelle dinamiche di peacebuilding. Durante un conflitto, i suoi elementi (ovvero lo status, il riconoscimento di specifici valori, usi, e costumi, e tutte le interazioni tra i singoli individui di una società di esseri umani) perdono valore e la loro esistenza è minacciata. Al fine di raggiungere una pace duratura è necessario costruire ponti tra gruppi antagonisti e legami più forti all’interno di specifici gruppi. 

  • Riconoscere fattori psicologici e culturali per entrambe le fazioni 

In passato, certe pratiche tradizionali  (come dinamiche di mediazione tra capi, anziani, e figure influenti tra i gruppi di pastori o agricoltori) hanno contribuito, attraverso meccanismi a livello locale, all’instaurazione di  regimi di convivenza pacifica tra le varie fazioni. Nonostante ciò, l’efficacia di questi strumenti si è ridimensionata nel corso del tempo, a causa principalmente delle troppe influenze politiche esterne. Di conseguenza, è necessario trovare un nuovo equilibrio per venire incontro alle necessità di ognuna delle parti. 

  • Sforzarsi nel comprendere le politiche identitarie dei gruppi sudanesi 

Al fine di raggiungere una situazione di stabilità, è necessario conoscere meglio le identità dei gruppi etnici del Sudan, in modo tale da comprenderne le relazioni. Elementi fondamentali da tenere in considerazione sono la religione (l’Islam è largamente praticato nell’area del Darfur), le lingue e i dialetti, i tratti somatici e il colore della pelle (che sono da sempre terreni di scontro identitari tra i gruppi etnici sudanesi), e le usanze (gran parte della popolazione pastorale araba è nomadica o semi-nomadica, mentre una buona parte dei contadini non-arabi sono sedentari). 

  • Coinvolgere le figure influenti di queste comunità fin dai livelli gerarchici più bassi

Come suggerito da diversi studiosi di peace-building e conflict resolution (come John Paul Lederach), le negoziazioni discusse dai leader ai livelli più alti delle sfere militari, politiche, e religiose spesso ignorano le questioni interne e le necessità delle comunità direttamente coinvolte nelle dinamiche conflittuali. Di conseguenza, un approccio “top-down” risulta essere troppo poco efficace e poco lungimirante sul lungo termine. Coinvolgere i leader ai livelli più bassi può favorire una migliore comprensione delle priorità e delle componenti culturali e psicologiche dei gruppi coinvolti nel conflitto. Questi leader sono degli elementi fondamentali per le dinamiche di peace-building nel Sudan-Sahel, e il loro coinvolgimento può portare a soluzioni più creative e più durature.

  • Rafforzare il dialogo e la cooperazione

È necessario facilitare le interazioni tra i gruppi coinvolti e persuadere loro al dialogo, attraverso seminari, incontri, e discussioni a livello locale. Questa può potenzialmente essere un’opportunità concreta per favorire una sempre maggiore integrazione di questi gruppi nei processi di  governance e decision-making. 

  • Permettere alle parti coinvolte di riflettere e trovare un compromesso

Infine, è auspicabile che i gruppi di pastori e contadini possano avere tutte le opportunità necessarie per costruire un dialogo comprensivo per raggiungere una condizione di compromesso basata su rispetto e resilienza collettivi. Il ruolo della società civile nei processi di peacebuilding è molto più importante di quello che si è ritenuto nel passato recente, e deve essere preso in considerazione insieme ad altri fattori, come il ruolo delle istituzioni dello stato, dei media, e degli attori locali più influenti. 

 

Per saperne di più:

https://www.peaceinsight.org/en/resources/reducing-pastoralism-related-violence-sudano-sahel/?location=sudan&theme=conflict-prevention-early-warning

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