Omosessualità e repressione
Durante gli anni ‘80 e ‘90, l’Ecuador stava vivendo un momento di grande violenza.
I corpi di sicurezza dello Stato perseguitavano attori politici, gruppi insorgenti e difensori dei diritti umani. In questo clima di dura repressione, anche la comunità LGBTQI era vittima di persecuzioni: persone gay, travestiti e persone trans erano perseguitate sulla base della legislazione vigente, che dichiarava l’omosessualità una pratica illegale (art. 516 del Codice Penale).
La repressione statale era accompagnata da una più ampia repressione di tipo sociale che si alimentava del profondo rifiuto e stigma con cui si caratterizzava la comunità LGBTQI e, in particolare, le persone trans, il gruppo più vulnerabile e discriminato della società nel suo complesso. Il disprezzo nei confronti della comunità trans si manifestava negli abusi e nelle frequenti morti violente per mano di persone omofobe. La mancanza di leggi che garantissero la protezione a questa parte della popolazione permetteva che tali delitti restassero completamente impuniti.
Il ruolo dei corpi di sicurezza statali
I corpi di sicurezza dello Stato, di fatto, contribuivano a perpetrare tali crimini: il CDP (Centro di Detenzione Provvisoria) era il luogo in cui si realizzavano le peggiori torture nei confronti delle persone trans detenute - a volte per prostituzione, altre per il semplice fatto di stare camminando per strada - che, nei casi peggiori, terminavano con la morte delle sopra citate. In questi (numerosi) casi, i corpi senza vita venivano buttati come spazzatura o nel fiume Machàngara o nel Playòn de la Marìn, senza che nessuno se ne accorgesse, o meglio, senza che nessuno se ne preoccupasse.
La popolazione trans era composta da individui carenti di diritti, disprezzati dalla società, assassinati dalla polizia.
Erano esseri invisibili.
Sfidando l’invisibilitá
Fu precisamente alla fine degli anni ‘90 quando l’organizzazione Coccinelle, assieme a vari esponenti dell’APDH (Assemblea Permanente dei Diritti Umani) si mobilitò. La comunità trans iniziò a mostrarsi alla luce del sole nelle strade del centro della capitale Quito; grazie a manifestazioni ed altre iniziative nacque un dibattito che attirò l’attenzione dell’opinione pubblica. Nonostante l’obiettivo principale e primordiale fosse la depenalizzazione dell’omosessualità con la conseguente l’abolizione dell’art. 516, la caratteristica fondamentale del movimento che si generò era la sua visibilità pubblica (e politica) il cui fine era sensibilizzare specificamente la comunità.
Dopo mesi di lotta e la raccolta di migliaia di firme, il 25 novembre 1997 la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale il primo comma dell’art. 516, svincolando l’omosessualità come patologia. Anche se persiste una logica omofobica che confina l’omosessualità alla sfera privata della vita dell’individuo, questa vittoria iniziale diede origine alla prima marcia pubblica in Ecuador denominata dell’Orgoglio Gay, che si realizzò a Quito nel 1998.
Dalla depenalizzazione dell’omosessualitá ad oggi
La depenalizzazione dell’omosessualità fu un processo necessario per rimuovere la resistenza ai cambiamenti e per far nascere una corrente di opinione pubblica favorevole alla diversità sessuale. A partire da quel momento ci furono vittorie e sconfitte: nel 2010 la maggior parte dei centri in cui si curava l’omosessualità furono chiusi, nel 2013 vi fu la depatologizzazione della transessualità, nel 2014 la prima unione civile di due persone dello stesso sesso.
Nonostante il progresso delle leggi e delle azioni a favore dei collettivi LGBTQI, oggigiorno continuano a moltiplicarsi le denunce per l’inosservanza delle leggi riguardo all’accesso alla salute, all’educazione e al lavoro per le persone al di fuori dell’eteronormatività.
Nonostante la storia di discriminazione in Ecuador sia lunga, la storia di rivendicazioni è ancora troppo corta.