Dopo sei anni di guerra, lo Yemen rimane alle prese con una delle peggiori crisi umanitarie al mondo, senza traccia di alcun progresso tangibile verso la ricostruzione della pace. Tramite la raccolta di opinioni e testimonianze di attivisti yemeniti, analisti dei conflitti e rappresentanti della società civile e delle organizzazioni femminili locali, il recente rapporto dell’International Crisis Group (ICG) tenta di identificare i più gravi ostacoli agli sforzi di costruzione della pace, soffermandosi in particolare sul quadro di risoluzione dei conflitti bipartitico guidato dalle Nazioni Unite (ONU), criticata per non aver fatto abbastanza per includere donne e attori locali della società civile nei colloqui.
L'attuale approccio guidato dall’ONU per la risoluzione del conflitto, sancito in nella Risoluzione 2216 adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, risale ai primi giorni della guerra civile nello Yemen, quando l'ONU limitò i suoi sforzi di mediazione tra Governo Hadi e ribelli Houthi. La guerra nello Yemen oggi consiste di una serie di diverse "piccole guerre", ma il conflitto ha avuto origine dalla forzata transizione politica avvenuta nel 2011 tra il presidente autoritario di lunga data dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, e il suo vice, Abed Rabbo Mansour Hadi , a seguito di una rivolta della Primavera Araba. Sotto il signor Hadi, il paese entrò gradualmente in un periodo di corruzione, disoccupazione e insicurezza alimentare. Il movimento Houthi, un'alleanza di ribelli Houthi e lealisti dell'ex presidente sostenuta da molti abitanti civili disillusi dalla fallita transizione politica, ha gradualmente conquistato la capitale Sana'a alla fine del 2014 ed ha esteso il suo controllo a gran parte dello Yemen nordoccidentale, approfittando dell'instabilità del paese.
Il popolo yemenita ha sofferto molto a causa del disordine politico e dei lunghi anni di combattimenti. Il numero di sfollati interni a causa della guerra è attualmente di 4,3 milioni, 2,6 milioni dei quali ormai sull'orlo della carestia. Le donne costituiscono circa i tre quarti degli sfollati interni e, durante gli ultimi anni, stanno subendo inoltre le conseguenze indirette della crisi epidemica avendo improvvisamente dovuto assumere il pieno carico economico di molte famiglie numerose, essendone diventate le uniche fonti di sostentamento.
Il conflitto ha anche avuto un impatto negativo sulle, già rigide, norme di genere che caratterizzano la vita nella società yemenita, aumentando ulteriormente le barriere strutturali alle quali le donne erano soggette nello Yemen prebellico: l’accesso ineguale all'istruzione e al lavoro, e norme sociali che impediscono alle donne di viaggiare da sole o di partecipare a settori considerati troppo pericolosi - come la politica. Ma in verità, le organizzazioni locali gestite dalle donne sono state in grado di affrontare questioni locali che il quadro coordinato dall’ONU non è riuscito a risolvere, come as esempio, il negoziare del rilascio di detenuti politici e prigionieri di guerra e la mediazione tra le forze pro-Hadi e combattenti Houthi per riaprire le strade intorno alla città di Taiz, terza città più grande dello Yemen.
Nonostante il loro ruolo fondamentale nella società e nella vita politica locale, le organizzazioni mediatrici gestite da donne e altri membri della popolazione civile sono stati emarginati dal processo di costruzione della pace, in parte anche a causa della forte opposizione del governo Hadi e del movimento Houthi contro l'inclusione delle donne e delle organizzazioni della società civile. La Risoluzione 2216 adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha sancito un quadro bipartitico per porre fine alla guerra, applicandolo a una guerra molto più complessa e stratificata rispetto a sei anni fa. Nessun ruolo formale o diretto nei colloqui bipartitici guidati dall'ONU dal 2015 è stato assegnato alle donne e ai rappresentanti della società civile, e solo di recente l'ONU ha iniziato a riservare spazio alle donne nei colloqui. Ma i recenti sforzi di inclusione sono stati considerati come ‘il minimo indispensabile’ e sono stati descritti da molti come ‘tokenismo’, ovvero un modo simbolico per mostrare sostegno per il programma Women, Peace and Security in Yemen dell’ONU, piuttosto che una piena inclusione nei colloqui. Alcuni considerano anche che l'attuale approccio sia recepito un potenziale incoraggiamento alle parti a prendere le armi piuttosto che raggiungere una conclusione pacifica. Per questi motivi, l'ICG raccomanda vivamente l'imposizione di quote alle delegazioni delle parti in conflitto per includere rappresentanti civili e gruppi di mediazione locali per il consolidamento della pace.
Mentre la guerra in Yemen entra nel suo settimo anno, l'attuale approccio alla costruzione della pace è ormai inetto a rappresentare le complesse tensioni in campo. Gli attori della società civile e le organizzazioni di mediazione, come le organizzazioni mediatrici che sono state essenziali nella risoluzione delle questioni sociali e delle controversie durante questi lunghi anni di guerra, sono escluse dai colloqui politici. Il costo della loro marginalizzazione rischia di essere molto grave, con altri lunghi anni di impasse e molte più vite civili perse. La loro inclusione è fondamentale per la stabilità politica a livello locale e, come tale, indispensabile per stabilire una tregua ma non solo: è l'unica garanzia per ripristinare una pace duratura.
Per saperne di più: https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/gulf-and-arabian-peninsula/yemen/221-case-more-inclusive-and-more-effective-peacemaking-yemen
Autore: Giulia Ferrara; Traduzione: Giulia Ferrara