Pubblicato due giorni prima della Giornata mondiale del rifugiato (20 giugno) un rapporto dello staff democratico della Commissione per gli Affari Esteri statunitense (SFRC) illustra la complessità del fenomeno della migrazione forzata attraverso un'analisi dettagliata di documenti, e dozzine di interviste a esperti umanitari svolti durante viaggi di ricerca in Colombia, Tunisia, Egitto, Bangladesh, Messico ed Etiopia. La ricerca incoraggia il riavvio del settore umanitario e rileva considerevoli critiche verso la leadership degli Stati Uniti.
Durante gli ultimi decenni, le origini di guerre e le cause di migrazione sono cambiate drasticamente. A causa dell'aumento di guerre per procura e di conflitti implicanti potenze esterne, gli scontri tendono a durare più a lungo, a rimanere interni ai paesi stessi, e a coinvolgere attori non statali come gruppi etnici e religiosi, organizzazioni terroristiche e criminalità organizzata. Aree densamente popolate vengono sempre più spesso prese di mira a causa di queste nuove dinamiche, aumentando la mortalità della guerra e causando danni duraturi alle infrastrutture come l'elettricità, l'assistenza sanitaria e la fuga di milioni di persone, come visto nello Yemen tra il 2015-2018 e in Siria nel corso di un intero decennio.
Fino ad ora, gli sforzi diplomatici internazionali hanno fallito ad imporre le sanzioni necessarie contro le violazioni delle leggi applicabili in questi contesti, e di conseguenza, a soddisfare le esigenze dei rifugiati e sfollati interni. Nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU), il principale organismo internazionale responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo, le rivalità tra gli stati membri sono frequenti, paralizzando dunque la sua efficacia nel portare a termine del suo mandato. A causa di crisi e politiche di contenimento, importanti donatori di fondi umanitari come Stati Uniti, Regno Unito e Germania hanno ormai ufficialmente ridotto i loro finanziamenti. Per quanto riguarda gli strumenti legali a favore di queste popolazioni, gravi incongruenze nei livelli di impegno per la loro protezione – causa l’insufficiente applicazione dei principi stabiliti nella Convenzione del 1951 – e il dibattito, tuttora in corso, sull'applicabilità della definizione di ‘rifugiato’ della Convenzione del 1951, fanno sì che i diritti di molti sfollati, comprese le vittime di violenza generalizzata, di eventi climatici o di persecuzione, rimangano, ad oggi, non protetti.
Prima della Trump administration, gli Stati Uniti erano il leader globale nel reinsediamento di popolazioni meno fortunate. La soglia massima all’accoglienza di richiedenti d’asilo fu revisionata dai 111.000 nel 2017 – solo giorni prima che il Presidente Trump entrasse in carica – a soli 18.000 nel 2020, ovvero al più basso tetto nella storia del paese, mentre il mondo contava oltre 70 milioni di sfollati, il più alto flusso mai registrato. I dati mostrano come le politiche adottate dalla Trump administration a scopo di ridurre l’immigrazione abbiano ristretto i controlli di sicurezza e i criteri di entrata per rendere il reinsediamento molto più difficile, particolarmente per rifugiati provenienti da paesi con popolazioni prevalentemente musulmane. Politiche come il "Muslim ban" sono citate nel rapporto, ovvero un divieto di viaggio emesso dal Presidente Trump pochi giorni dopo la sua entrata in carica, che sospende l'ingresso di rifugiati siriani a tempo indeterminato, e di persone provenienti da Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen per 90 giorni. Questo elenco fu esteso al Nigeria, Myanmar, Eritrea e Kirghizistan nel gennaio 2020.
La scissione dei legami con le organizzazioni internazionali e l'adozione di misure per paralizzare deliberatamente il programma per i rifugiati degli Stati Uniti – divieti di viaggio, la modifica dei criteri di reinsediamento e la fine delle designazioni di status di protezione temporanea per i richiedenti asilo – vengono criticati nel rapporto in quanto abbiano causato un drastico taglio negli slot per il reinsediamento dei rifugiati. Inoltre, l'effetto cumulativo di un aumento dei governi populisti, che ha intensificato la retorica negativa su rifugiati e migranti come si è visto in Europa negli ultimi anni, un Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite indebolito e l'assenza di una superpotenza che ritenga i leader mondiali responsabili in caso di violazione del diritto internazionale e dei diritti umani – un ruolo precedentemente eseguito dagli Stati Uniti – non ha fatto che inasprire una questione globale già molto delicata. Questi fattori hanno portato a gravi mancanze nel modo in cui governi e paesi interi hanno risposto ai flussi di migranti, con reazioni spesso molto dannose per le popolazioni coinvolte, costituendo serie violazioni di diritti umani e gravi ostacoli alla cooperazione internazionale.
I conflitti globali sono oggi la maggiore causa (80%) del bisogno umanitario. Il quadro è evoluto a seguito di scontri più frequenti e più prolungati, e ha rivelato l’inefficiacia degli strumenti di risposta internazionale esistenti. Le raccomandazioni formulate in questo rapporto affrontano dunque le carenze dell'attuale risposta diplomatica internazionale e sollecitano gli organismi internazionali e i governi mondiali, compresa la Trump administration, a fare di più per salvaguardare il diritto di migranti, rifugiati, richiedenti asilo, a un futuro di pace.
Per saperne di più:
https://reliefweb.int/report/world/global-forced-migration-political-crisis-our-time
Autore: Giulia Ferrara