Il 60% dei 20 Paesi più vulnerabili ai rischi climatici, secondo l'indice ND-Gain, sono colpiti da conflitti armati. Ciò è in parte dovuto alla loro posizione geografica, ma anche alla fragilità – spesso causata da conflitti a lungo termine – delle istituzioni, servizi essenziali e della governance, fondamentali per sostenere le persone far fronte a un ambiente che cambia. Un recente lavoro di ricerca del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) esplora il modo in cui le comunità colpite dal conflitto nella Repubblica Centrafricana, in Iraq e nel Mali settentrionale affrontano e si adattano ai cambiamenti climatici e al degrado ambientale, e come il settore umanitario possa adattarsi in questo contesto.
Sebbene “cambiamento climatico” e “riscaldamento globale” siano termini poco conosciuti nella Repubblica centrafricana, nell'Iraq e nel Mali, i loro effetti sull’ambiente sono più che percepibili dai loro abitanti. Nella Repubblica centrafricana, si osservano crescenti tensioni tra agricoltori e pastori a causa dei cambiamenti nelle migrazioni del bestiame causati dalla desertificazione e dai conflitti; nell’Iraq, la carenza d'acqua è la ragione principale per lo sfollamento forzato del 94% dei migranti e, nel nord del Mali, la ripetuta intermittenza tra periodi di siccità e forti piogge sta cambiando radicalmente il modo di vivere di agricoltori e pastori, costringendo alcuni a spostarsi in cerca di terra fertile. Questi esempi mostrano la gravità dell’intersezione di rischi climatici e conflitti armati, spesso intrecciati con altri megatrend interconnessi come la crescita demografica e le epidemie.
Da decenni, la Rebubblica centrafricana è scossa da violenza e conflitti, l’ultimo dei quali destabilizza il paese dal 2013. Istituzioni deboli e servizi essenziali scarsi rendono la regione estremamente vulnerabile alle catastrofi naturali e alle variazioni climatiche, come illustrato dalle devastanti alluvioni dell’autunno del 2019. Oltre ai frequenti danni provocati dalle piogge, la desertificazione e i conflitti nella regione hanno provocato cambiamenti nelle migrazioni delle greggi e, di conseguenza, causato ulteriori scontri e discordia tra gli abitanti del territorio. Questo è un chiaro esempio dell'intersezione tra le conseguenze – talvolta impercettibili – del degrado ambientale legato al clima e l'evidente e duraturo impatto del conflitto, causa di forte detereioramento per gli abitanti della regione.
Desertificazione e siccità sono già fenomeni piuttosto consueti nell’Iraq. La carenza d'acqua è stata esacerbata dall'impatto duraturo di ripetuti conflitti, che hanno portato a loro volta a un deterioramento delle infrastrutture e della gestione delle risorse. In questa intera regione, l’accesso all'acqua dipende direttamente da un'efficace gestione delle risorse idriche e diplomazia con i paesi vicini. Peggiorando ulteriormente le tensioni sociali, alcuni attribuiscono la carenza idrica e la desertificazione osservate oggigiorno al taglio delle palme da dattero – mai ricresciute dopo questo evento – avvenuto a scopi militari durante la guerra contro l’Iran.
Mentre nel Mali settentrionale, le condizioni di vita rimangono tra le più difficili al mondo, anche in tempi di pace. La violenza e i conflitti armati destabilizzano il paese dal 2012 e hanno causato l'indebolimento dello Stato, il quale non è più in grado di offrire supporto istituzionale ai Maliani per mitigare l'impatto della desertificazione e delle gravi siccità. Molti sono stati costretti a trasferirsi nelle città, a dedicarsi all'agricoltura nelle scarse aree fertili del paese, o a trovare lavoro di altro tipo nei paesi vicini.
I dati scientifici dimostrano che lo stress climatico è destinato ad aggravarsi. Nella Repubblica centrafricana, si prevedono l’innalzamento delle temperature, siccità e ondate di calore, e la riduzione della fertilità del suolo. Nell’Iraq, si teme che le temperature elevate, precipitazioni ridotte e l’aumento della salinizzazione del suolo a causa del prosciugamento delle paludi nei primi anni '90 possano trasformare l'intera regione della Mezzaluna fertile in un'area completamente sterile entro il 2100. Questo eliminerebbe la principale fonte di sostentamento per almeno un quinto del popolazione irachena, la quale dipende principalmente dalla produzione agricola irrigua o alimentata dalla pioggia. Mentre nel Mali settentrionale, anch’esso fortemente dipendente dall'agricoltura, le complesse dinamiche sociali a causa della condivisione di risorse in costante esaurimento potrebbero portare ad un aumento di violenza e sfollamento. L'impatto sulla salute e sul benessere delle persone è grave, in particolare in regioni in cui la loro sopravvivenza dipende da un accesso sicuro a pascoli, acqua e terreno fertile.
Tre casi studio, in cui si sono potute esprimere le esigenze delle comunità sproporzionatamente vulnerabili ai rischi climatici, evidenziano un problema globale. Il recente rapporto sull'acqua delle Nazioni Unite ha infatti previsto che oltre la metà della popolazione mondiale vivrà in carenza d'acqua entro il 2050. Alla luce di ciò, il lavoro di ricerca del CICR rappresenta innanzitutto un invito all'azione congiunta, volto a ispirare il settore umanitario a unirsi, a rafforzare i suoi programmi di monitoraggio dei dati climatici e a mobilitarsi collettivamente per sostenere le comunità colpite dai conflitti e attrezzarle per affrontare questi nuovi rischi, e infine ripristinarne il rapporto con il loro prezioso ambiente.
Per saperne di più:
Author: Giulia Ferrara