Yemen: il COVID-19 apre nuovi scenari di pace

Bambini yemeniti che camminano sulle macerie Bambini yemeniti che camminano sulle macerie © Yahya Arhab/EPA

Questo articolo è una breve presentazione del rapporto "Rethinking Peace in Yemen", pubblicato dall'International Crisis Group

L'International Crisis Group (ICG) è un'organizzazione non governativa indipendente, senza scopo di lucro, che svolge ricerca sul campo ed avvia campagne di sensibilizzazione volte alla prevenzione e alla risoluzione di conflitti su larga scala.

Con 112.000 morti a referto e circa 24 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria, la guerra civile in Yemen è un'oscura realtà che si protrae da ormai sei anni. Secondo l'ICG,  ogni tentativo dell'ONU teso a facilitare il processo di pace si è scontrato con le mutate circostanze del conflitto. Tra queste, il cambiamento dei rapporti di forza, l'intervento di alcune potenze regionali e le continue frammentazione territoriali. Allo stesso tempo, i rischi connessi alla pandemia da COVID-19 aprono scenari finora inesplorati e costringono le fazioni belligeranti ad operare una scelta: o si accetta una soluzione politica subottimale o si perpetua una guerra dal costo umano elevatissimo e senza vincitori all'orizzonte.

Il rapporto si basa sui risultati di una ricerca sul campo che consta di oltre 90 interviste effettuate nel periodo 2018-2020. Il campione di interlocutori è dislocato in diverse aree dello Yemen, come la Costa del Mar Rosso, le città di Aden, Sanaa, Marib e Hadramawt. Un ulteriore insieme di interviste ha coinvolto potenziali attori del processo di pace in Egitto, Giordania, negli Stati del Golfo Arabo e negli Stati Uniti.

L'ICG spiega che il maggiore ostacolo a una soluzione pacifica duratura per lo Yemen è l'utilizzo di un approccio internazionale ormai obsoleto. Rispetto alle prime fasi della guerra in Yemen, scoppiata nel 2014 quando gli Huthi, un gruppo di insorti Zaydi sostenuti dall'Iran, sfidarono apertamente il governo Hadi riconosciuto a livello internazionale, l'equilibrio di potere si è incrinato ed i ribelli hanno conquistato ampie fasce del territorio. Tuttavia, la risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, adottata nel 2015, appoggia ampiamente le rivendicazioni territoriali del governo Hadi e gli obiettivi di guerra dell'Arabia Saudita, suo alleato, intimando la resa e la consegna delle armi da parte degli Houthi e il ritorno di Sanaa alle forze governative. Per sua parte, appoggiato dall'Iran, il movimento Huthi ha progressivamente esteso la sua area di influenza fino allo Yemen nord-occidentale e continua a nutrire mire espansionistiche. Come sottolinea l'ICG, i nuovi rapporti di forza in Yemen sono un ostacolo ingente all'attuazione della risoluzione 2216 e lo stesso vale per i colloqui avviati in Kuwait sotto l'egida dell'Onu. A complicare ulteriormente la situazione, a partire dal 2015 diverse alleanze della prima ora si sono disgregate e i gruppi belligeranti si dividono in cinque cantoni di controllo politico e militare. Infatti in Yemen l'iniziale polarizzazione del conflitto tra il governo Hadi e gli Houthi è stata gradualmente rimpiazzata dall'insorgenza di nuove realtà militari, tra cui il Consiglio di transizione meridionale (Southern Transitional Council - STC) e le Forze di resistenza congiunte non allineate (Joint Resistance Forces - JTF) che operano sotto linee di comando e controllo autonome. Date le circostanze, L'ICG suggerisce che, per poter pensare ad una soluzione politica realistica in Yemen, vanno necessariamente soddisfatte due condizioni.

In primo luogo, le parti del conflitto devono convincersi che è nel loro interesse rivedere al ribasso alcune richieste. Anche se gli Houthi sono convinti di possedere maggiori capacità militari, le tensioni interne al movimento suggeriscono che il vantaggio potrebbe dissiparsi. Inoltre, attenendosi alla narrazione dell '"Aggressione Saudita", gli Houthi chiedono insistentemente un accordo di pace che escluda dai negoziati le nuove realtà militari e il governo Hadi e che dunque vada concordato solo con il principale alleato di quest'ultimo, cioè l'Arabia Saudita. Secondo l'ICG questa strategia non è plausibile, poiché le parti escluse non arretreranno di un passo nella protezione dei loro interessi fondamentali. D'altra parte, l'ICG osserva che ridimensionato nelle sue ambizioni, il governo Hadi dovrebbe abdicare tutte le  pretese sulla città di Sanaa, roccaforte dei ribelli, e rinunciare ad una completa resa dei suoi nemici.

In secondo luogo, la frammentazione dello scacchiere strategico in Yemen richiede sia un ripensamento del quadro negoziale generale che un ripensamento dell'accordo realizzabile. Come dimostrano i mutati rapporti di forza del conflitto, l'accordo bipartitico proposto dall'ONU nel 2015 deve essere riadattato al fine di bilanciare gli interessi di gruppi potenti come l'STC e il JTF.

In conclusione, l'ICG suggerisce cosa dovrebbe fare l'ONU per accelerare il processo di pace e porre fine alle sofferenze del popolo yemenita. 

A questo proposito, qualsiasi accordo negoziato dall'ONU non deve seguire il tracciato della risoluzione 2216, poiché lo strumento non inquadra ragionevolmente la realtà. Secondo l'ICG, prima che qualsiasi rappresentante delle fazioni sia convocato per discutere i termini della pace, i colloqui prodromici sul cessate il fuoco ed un accordo di transizione dovrebbero aprire le porte agli attori militari più potenti come il CSS. L'inclusione può prevenire il rischio che le decisioni siano percepite dalle fazioni come coercitive, riducendo così la probabilità che l'accordo finale venga rimesso in discussione.

 

Per saperne di più:

https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/gulf-and-arabian-peninsula/yemen/216-rethinking-peace-yemen

 

Autore: Gianmarco Italia; Editor: Barbara Caltabiano

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