Sono trascorsi quasi vent’anni da quando la protezione dei civili è entrata a pieno titolo nella lista delle priorità del Consiglio di Sicurezza ONU. Nonostante tale ricorrenza, il quadro delineato dal Segretario Generale nel suo Rapporto Annuale (462/2018) appare triste e scoraggiante, essendo le popolazioni civili ancora le principali vittime dei conflitti armati.
Uomini, donne e bambini vengono sistematicamente uccisi o feriti in attacchi deliberati o indiscriminati che regolarmente hanno luogo in aree densamente popolate e spesso comportano l’utilizzo di armi esplosive. Oggetti civili, strutture mediche ed infrastrutture essenziali continuano ad essere danneggiati o distrutti in operazioni mirate, che quotidianamente vengono condotte nei paesi colpiti dalle ostilità. Aree residenziali e altre zone urbane sono contaminate da residui bellici esplosivi letali, che impediscono l’accesso a forniture alimentari, all’assistenza sanitaria e ad altri servizi essenziali. Attacchi continui e persistenti contro personale umanitario ed assidui impedimenti burocratici nell’esercizio di azioni umanitarie compromettono la capacità delle popolazioni colpite di soddisfare i propri bisogni primari ed aumentano il rischio di malattie e insicurezza alimentare.
Particolare preoccupazione desta, inoltre, la presenza in contesti urbani di gruppi armati non-statali, che evitano di affrontare i propri nemici sul campo di battaglia, intenzionalmente si confondono tra i civili e costantemente vengono meno alle proprie obbligazioni di diritto internazionale.
In un simile quadro, guerra urbana, violento estremismo, attacchi esplosivi e insicurezza alimentare costringono intere popolazioni a fuggire dalle proprie case e a spingersi verso un destino ignoto ed estremamente pericoloso, mentre un innumerevole numero di civili risulta disperso. In particolare, si riporta che alla fine del 2016 approssimativamente 65 milioni di persone risultavano sfollate a causa di un conflitto, circostanza, quest’ultima, tale da rendere il dislocamento forzato la caratteristica determinante della guerra nel 2017.
Ad aggravare un simile contesto, la violenza sessuale continua ad essere impiegata quale metodo di guerra, terrorismo, tortura e repressione. Nella maggior parte dei casi, le vittime vengono selezionate in base all’appartenenza etnica, religiosa o politica. I bambini risultano ancora affetti dalle ostilità in misura drammaticamente sproporzionata. Troppo spesso sono soggetti ad abduzione, una tattica usata allo scopo di reclutare forzatamente i bambini e sfruttarli sessualmente.
In tale scenario, il Segretario Generale ONU, partendo dalle già numerose raccomandazioni contenute nel Rapporto n. 414/2017, invita gli Stati Membri ad adottare ulteriori misure nella protezione dei civili. Un simile risultato può essere ottenuto, ad esempio, promuovendo il dialogo, processi di pace inclusivi e lo stato di diritto. Queste misure sono in grado, insieme, di condurre a soluzioni sostenibili e di prevenire l’insorgenza, l’intensificazione o la reiterazione dei conflitti.
La riduzione del danno può altresì essere raggiunta sviluppando quadri normativi nazionali, che siano volti alla creazione di autorità istituzionali per l’individuazione, l’analisi e la risposta ad allegazioni di violenza su civili, incluse l’indagine e il perseguimento di gravi violazioni del diritto internazionale.
Un maggior rispetto del diritto internazionale significa, inoltre, esigere un cambio di comportamento da parte di gruppi armati non-statali e pretendere, da parte di questi, un rafforzamento dell’impegno nella mitigazione della sofferenza. Tutto ciò può essere realizzato attraverso il loro coinvolgimento in attività di formazione e mediante lo sviluppo di buone pratiche di condotta tra le diverse parti in gioco.
Infine, sensibilizzare al tema, nonché garantire la responsabilità degli autori di crimini internazionali, risultano di fondamentale importanza per l’effettiva attuazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Come infatti sottolineato dal Segretario Generale ONU, laddove l’azione nazionale appare carente o inefficiente, un maggiore ricorso dovrebbe essere fatto a tribunali o meccanismi di carattere ibrido o internazionale.
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