Freedom House ha recentemente pubblicato il report “Freedom in the world”, che considera le tendenze democratiche mondiali nel 2017, valutando lo stato di democrazia in 195 paesi e 14 territori ed assegnando punteggi in relazione a diritti politici e libertà civili. Gli stati vengono classificati come “liberi”, “parzialmente liberi” o “non liberi”.
Sulla base delle dichiarazioni della rinomata ONG, il 2017 è stato l’anno peggiore dell’ultima decade in riferimento ai diritti umani collegati ai principi democratici: la democrazia è in crisi ed i valori che essa rappresenta - ovvero elezioni trasparenti, libertà di stampa e stato di diritto - sembrano quasi a rischio estinzione. Infatti, molti stati “parzialmente liberi” che sembravano essere sulla strada della democrazia sono regrediti all’autoritarismo.
Persino le democrazie consolidate sono soggette a problemi di ordine interno: disparità sociali ed economiche, frammentazione politica, populismo, terrorismo e crescenti ondate di rifugiati mettono alla prova le alleanze preesistenti ed alimentano la paura del “diverso”. In questi contesti, i giovani stanno perdendo fiducia ed interesse nei sistemi democratici.
Le condizioni di stati corrotti e repressivi portano inoltre ad un aumento di rischi economici e geopolitici, ad una maggiore instabilità globale e regionale e ad un incremento di estremismo violento. Secondo Freedom House, questi trend negativi sono influenzati dalle situazioni di importanti attori internazionali.
In primis gli Stati Uniti hanno subito un declino democratico durante il primo anno della nuova presidenza repubblicana, attraverso gli attacchi di Donald Trump alla stampa, la sua ostilità ed il suo scetticismo verso il multilateralismo e le sue espressioni di ammirazione verso autorità dittatoriali.
Contemporaneamente, Cina e Russia mantengono in vigore repressioni interne, corti politicizzate ed elezioni predeterminate per controllare l’ordine interno ed espandere la propria influenza autocratica ed antidemocratica all’estero.
La Turchia è stata recentemente etichettata come paese “non libero”: infatti, si inaspriscono sia le aggressioni a media, partiti politici e rappresentanti giudiziari, sia le violenze contro la comunità curda.
Quindi, nonostante i trend positivi siano in minoranza, se ne ritrovano alcuni nelle aree geografiche analizzate.
Nelll’Asia-Pacifico, le forze antidemocratiche progrediscono, soprattutto ad opera della pulizia etnica dei Musulmani Rohingya in Myanmar, ma anche a causa delle azioni di altri paesi dell’area (Cambogia, Hong Kong, Maldive, Nord Korea). Timor Leste e Nepal rappresentano barlumi di speranza per le condizioni dei diritti umani in attuale miglioramento.
In Eurasia e Europa, la sopravvivenza dei valori democratici è a rischio: molti stati propendono per valori nazionalisti radicali e di estrema destra e/o violazioni ricorrenti dei diritti umani (per esempio Armenia, Kyrgyzstan, Azerbaijan, Ucraina, Ungheria, Polonia e Serbia).
La situazione è più preoccupante in Medio-Oriente ed in Nord Africa, dove le autocrazie non sembrano indietreggiare (Arabia Saudita, Egitto) e i conflitti di lunga durata vengono perpetrati ancora oggi (Yemen, Siria, Libia). Anche la Tunisia, paese considerato “libero” da qualche anno, rischia ora un’inversione di tendenza.
In Africa Sub-sahariana, RDC, Sud Sudan e Burundi non sono disposti ad astenersi dall'uso della violenza. Allo stesso modo, Tanzania e Kenya continuano a non rispettare i principi democratici basilari, mentre segnali di ottimismo emergono in Gambia e Uganda.
Nelle Americhe, Bolivia, Honduras, Nicaragua, Messico e Venezuela non hanno mostrato alcun miglioramento democratico, ma ci sono stati sintomi di resilienza in Ecuador, Argentina e Colombia.
Per saperne di più, leggi:
https://freedomhouse.org/report/freedom-world/freedom-world-2018