Come è nato il progetto
Pensando al futuro dell'associazione, i suoi membri - circa 120.000 vittime civili italiane della seconda guerra mondiale- facendo tesoro della loro dolorosa e significativa esperienza, si sono posti le seguenti domande chiave: “Come mantenere viva la memoria delle vittime civili della seconda guerra mondiale?” e “Come condividere la nostra esperienza con le popolazioni civili che, ancora oggi, vivono e soffrono nelle zone colpite dai conflitti?”
Simili quesiti sono stati l’oggetto delle nostre riflessioni degli ultimi 20 anni, grazie ad un costante e attento monitoraggio delle violazioni dei diritti umani, sia sulla base di rapporti tecnici che di lavoro sul campo. La richiesta da parte dell’ANVCG, quindi, ha trovato in noi terreno fertile.
L'idea di creare un centro di ricerca e informazione sui civili in zone di conflitto ha immediatamente catturato l'attenzione di molti amici e colleghi che si sono uniti a noi per aiutarci a realizzare il nostro ambizioso progetto. Tra i tanti che hanno messo a disposizione il loro tempo, le competenze e la passione, un ringraziamento speciale va a Romain Desclous, esperto in good governance con spiccate competenze in comunicazione e relazioni esterne con le Nazioni Unite. Oggi Romain vive a Gerusalemme, ma dieci anni fa era con me nella Repubblica Democratica del Congo, uno dei molti paesi che, ancora oggi, restano oggetto del nostro monitoraggio.
La nostra missione
Insieme abbiamo creato L'Osservatorio - Centro di ricerche sulle vittime civili dei conflitti, un progetto che si basa su un precedente tentativo, all'interno del ANVCG, iniziato dall’avvocatessa Maria Marinello, che attualmente collabora con L’Osservatorio come ricercatrice ed esperta legale.
Dopo un intero anno di riunioni preparatorie, proficui scambi con esperti, costanti contributi di volontari online delle Nazioni Unite, oltre al supporto di stagisti di università americane, L'Osservatorio è ora pronto a svolgere il proprio compito di informazione del grande pubblico circa le conseguenze dei conflitti sulle popolazioni civili, e la loro capacità di resilienza.
La nostra intenzione era quella di concentrarci sui conflitti meno noti e su quelle vittime civili le cui voci sono rimaste, a lungo, inascoltate, ma siamo stati travolti dalla piena inesorabile di tragici eventi in quei paesi già sotto i riflettori dei media, al punto di non riuscire più a limitare il nostro sguardo. La nostra mappa di paesi colpiti da conflitti è ora più ampia di quanto ci aspettassimo all’inizio di quest’avventura.
La situazione attuale
Il mondo è testimone forse del più alto livello di sofferenza umana dalla seconda guerra mondiale ad oggi. Gli ultimi 60 anni hanno visto il numero dei conflitti interni (nei confini di un paese) non solo aumentare, ma anche superare quello dei conflitti esterni (tra paesi).
Conflitti e disastri naturali hanno indebolito i mezzi di sostentamento di circa 125 milioni di persone, 65,3 milioni delle quali sono stati costretti a fuggire dalle loro case entro la fine del 2015. Diversi indici internazionali di monitoraggio comprovano l’esistenza di lunghe e ricorrenti crisi che tengono milioni di persone intrappolate in spirali di violenza e povertà, in violazione delle norme che regolano i conflitti armati, compreso il rispetto per lo stato di protezione dei civili.
Il Global Peace Index - uno specchio dei nostri tempi
Tra questi indici, L'Osservatorio si avvale del Global Peace Index (GPI), ideato e realizzato dall'Istituto per l'Economia e la Pace (IEP), che classifica 163 stati indipendenti e territori in base al loro livello di pacificità. Questo strumento permette non solo di misurare l'impatto dei conflitti sulle popolazioni civili, ma anche di valutare i fattori sociali, politici ed economici che possono creare la pace, come una realtà che vada oltre il concetto di "assenza di violenza". L’IEP la chiama "pace positiva", comprensiva degli atteggiamenti, delle strutture e delle istituzioni che sono base e sostegno delle società pacifiche.
Secondo il 10° GPI annuale, il mondo sembra meno pacifico nel 2016 di quanto lo sia stato nel 2015, soprattutto a causa dell’aumento dei conflitti in Medio Oriente, la mancanza di una soluzione alla crisi dei rifugiati, e il crescente numero di vittime civili di attacchi terroristici.
I morti in battaglia, che comprendono ingenti danni collaterali, tra cui civili uccisi in scontri a fuoco e bombardamenti indiscriminati, sono aumentati di cinque volte da 19.601 nel 2008 a 101.406 nel 2015. La maggior parte delle perdite (75%) viene dalla Siria, Iraq e Afghanistan.
L'ultimo paese di questo elenco, quindi il meno pacifico, è la Siria. Classificato nel 2008 come l’88° paese più pacifico al mondo, su 162 nazioni, è ora sceso in fondo alla classifica, a seguito di una devastante guerra civile e la rapida crescita di ISIS nel paese.
Leggendo l’elenco dal basso, diversi paesi con livelli decrescenti di problemi di sicurezza sono indicati come pronti a raggiungere lo status di 'paese più pacifico', con l'Islanda in testa. I suoi livelli molto bassi di instabilità politica, violenza, le esportazioni di armi e problemi con i paesi vicini contribuiscono al suo primo posto come paese più pacifico del mondo.
Tra i due estremi dell'Islanda e della Siria, molti altri paesi, in gran parte nella metà inferiore, stanno registrando, in diversa misura, un deterioramento della sicurezza misurato da due indicatori (tra i 23 utilizzati per l'indice GPI): l'instabilità politica e l'impatto delle terrorismo. L'instabilità politica, in particolare, si diffonde in molte regioni, minacciando pesantemente la sicurezza in paesi come Gibuti, Guinea-Bissau, Burundi, Polonia, Kazakistan e Brasile.
Le morti per terrorismo sono aumentate del 286% negli ultimi 8 anni (da 8.466 nel 2008 a 32.715 nel 2015). Secondo il rapporto dell’IEP, solo 69 paesi non hanno registrato alcun incidente terroristico nello scorso anno. Nel complesso, le morti per terrorismo sono aumentate del 80% dal rapporto del 2015.
Il GPI 2016 non propone una visione ottimistica del nostro mondo, ma è comunque realistico. E’ dopo tutto un insieme dettagliato di dati e indicatori, accuratamente analizzati utilizzando una metodologia scientifica. E’ purtroppo uno specchio dei nostri tempi.
Amplificare la voce delle vittime nel mondo
All’Osservatorio, stando di fronte a questo specchio, riconosciamo i tratti caratterizzanti il nostro mandato, volto a conservare la memoria del passato, con l'obiettivo di gestire i traumi da esso derivanti, e nutrire il presente con fatti, dati e storie di vita, con la speranza di prevenire il ripetersi di violazioni dei diritti umani.
Le voci delle vittime di questi conflitti, disordini politici e atti terroristici devono quindi essere ascoltate non solo durante le commemorazioni, ma in ogni occasione della vita quotidiana; dovrebbero essere costantemente udibili, visto che loro sono gli attori legittimati a creare e sostenere una società pacifica. Grazie ai loro contributi, ora possiamo informare il nostro pubblico delle conseguenze dei conflitti sui civili e la loro capacità di resilienza, facendo del nostro meglio per mantenere l'attenzione su questi temi, nella speranza di poter “salvare le future generazioni dal flagello della guerra".
E’ per questo motivo che monitoriamo le violazioni dei diritti umani, promuoviamo i rapporti pubblicati da altre organizzazioni, sponsorizziamo i lavori di attivisti dei diritti umani e gli autori di saggi che meritano di essere conosciuti da un più vasto pubblico, pubblichiamo i nostri articoli di ricerca, e lavoriamo in collaborazione con altri attori del settore per realizzare progetti volti a proteggere i civili nei conflitti.
I nostri esperti hanno appena concluso documenti di ricerca sull'uso dei droni nelle attività di sminamento, sul viaggio di un giovane rifugiato afgano in Europa, sulla violenza sessuale come crimine internazionale, e sul processo di pace in Colombia. Presto, pubblicheremo altre ricerche sull’evoluzione della protezione dei civili in Italia, le vittime civili in Dalmazia (1941-1943), lo stato delle riparazioni nella Repubblica democratica del Congo, l'uso della stampa 3D per protesi, e molte altre che ci auguriamo possano interessarvi.
Un sito internet è un inizio: con esso ci si scambiano conoscenze e idee, usando i social media per stimolare discussioni che, nel tempo, consentono di raggiungere maggiormente quelle vittime le cui voci sono spesso senza ascolto.
Corrado Quinto