1) Le donne di Al-Shabaab
L’attuale conflitto in Somalia ha provocato cambiamenti nella società e cambiamenti nelle dinamiche familiari. Come illustrato dall'esperto in materia di diritti umani in Somalia, nel suo Rapporto al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, “a partire dal 2011, le famiglie somale sono, nel 70% dei casi, a conduzione matriarcale e ciò anche a causa del numero di uomini dispersi nel conflitto. Tale circostanza ha reso le donne le principali responsabili delle decisioni riguardanti la famiglia e le principali fonti di guadagno all’interno delle stesse. Esse sono infatti costrette ad impegnarsi in attività economiche o di altra natura, che tradizionalmente erano riservate agli uomini”.
A partire da questa valutazione, la dott.ssa Orly Maya Stern di "Adam Smith International" ha condotto uno studio empirico su tutte le donne associate al gruppo militante somalo al-Shabaab. La categoria è risultata sorprendentemente ampia, in quanto comprendente donne reclute, combattenti o quelle che supportano attivamente il gruppo, militarmente o meno; donne che sono in altri modi associate al gruppo, quali mogli, donne rapite o costrette ad arruolarsi; e donne che hanno vissuto nel territorio occupato da al-Shabaab, e possibilmente (ma non necessariamente) hanno mostrato un certo livello di supporto o accettazione del gruppo. In particolare, questa interessante ricerca prende in considerazione due distinti argomenti: in primo luogo, essa esamina i ruoli delle donne in al-Shabaab, come il loro reclutamento e partecipazione al gruppo, nonché la loro defezione, riabilitazione e reintegrazione nella società civile. In secondo luogo, cerca di comprendere il ruolo specifico che le donne svolgono nel reclutamento, partecipazione e defezione degli uomini di al-Shabaab.
Lo studio mostra come le donne che lasciano al-Shabaab siano in grado di reintegrarsi più facilmente nelle comunità rispetto agli uomini, a causa del fatto che la maggior parte delle persone nelle loro comunità non sa del loro coinvolgimento nel gruppo militante. Mentre le donne possono aver sostenuto attivamente il gruppo, la ricerca mostra in realtà come molte di loro abbiano supportato segretamente il gruppo dalle proprie case.
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http://www.orlystern.com/wp-content/uploads/2016/06/The-Invisible-Women-of-al-Shabaab-.pdf
2) La terrificante conseguenza della "politica del figlio unico" in Cina
Nel corso del tempo in Myanmar, in particolare negli Stati di Rakhine, Kachin e Shan, le ostilità tra buddisti e musulmani sono aumentate in modo drammatico. Dal 2011, una campagna di odio e disumanizzazione è stata perpetrata contro i musulmani Rohingya da parte del Partito per lo Sviluppo delle Nazionalità di Rakhine (RNDP). Le accuse di gravi violazioni dei diritti umani sono aumentate progressivamente, con il regime militare che non solo non interviene a dirimere il conflitto, ma al contrario attivamente conduce numerose "operazioni di pulizia etnica" che raggiungono la soglia del conflitto armato non internazionale. La conseguenza è una situazione di continua, diffusa e grave oppressione e persecuzione istituzionalizzata delle minoranze etniche, dalla nascita alla morte.
La situazione risulta ulteriormente aggravata da altri due fattori; in primo luogo, la circostanza che molti uomini Kachin stanno prendendo parte al conflitto e le donne sono così diventate le uniche persone a guadagnare; secondo, il fatto che, nonostante il trovare lavoro in Myanmar sia diventato estremamente difficile, il governo ha contemporaneamente deciso di bloccare gli aiuti. Se questa è la situazione in Myanmar, la "politica del figlio unico" cinese ha, d'altra parte, reso estremamente difficile per gli uomini la ricerca di una moglie, creando in tal modo una grande richiesta di "spose" trafficate. Tutti questi fattori messi insieme hanno generato un enorme opportunità per i trafficanti di esseri umani, che sono riusciti a reclutare facilmente donne Kachin, con la falsa promessa di procurar loro un lavoro ben pagato in Cina, per poi venderle come "spose" alle famiglie cinesi.
È difficile sapere quante donne e ragazze siano già state trafficate in Cina. Human Rights Watch ha iniziato questa ricerca quasi tre anni fa ma, come spiegato nella loro intervista, “è stato davvero difficile trovare queste donne ed ancor più difficile farle sentire a proprio agio nel parlarne. [...] C'è molto stigma contro il sesso al di fuori del matrimonio. Ci sono molte ragioni per cui le persone mantengono segrete queste esperienze […]”.
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3) La violenza sessuale come arma di guerra
Il termine "violenza sessuale legata al conflitto" si riferisce a una determinata categoria di crimini, come stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, aborto forzato, sterilizzazione forzata, matrimonio forzato e qualsiasi altra forma di violenza sessuale di gravità comparabile, che vengono perpetrati contro donne, uomini, ragazze o ragazzi e che sono direttamente o indirettamente collegati ad un conflitto.
Come ampiamente illustrato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite nel suo ultimo Rapporto di Marzo 2019, la violenza sessuale continua ad essere utilizzata come mezzo di repressione, terrore e controllo o come tattica di guerra per dislocare comunità, espellere i cosiddetti gruppi "indesiderati" e sequestrare terreni e altre risorse. Gli incidenti documentati nel 2018 confermano anche un nesso tra violenza sessuale, tratta di esseri umani e terrorismo. La radicalizzazione e l'estremismo violento hanno infatti contribuito al rafforzamento delle norme discriminatorie di genere che limitano il ruolo delle donne ed il loro godimento dei diritti fondamentali. La violenza sessuale è stata anche una caratteristica ricorrente del reclutamento da parte di gruppi terroristici, che possono promettere ai giovani il matrimonio e la schiavitù sessuale come forme di dominio e status maschili.
La violenza sessuale può comportare molteplici conseguenze per i sopravvissuti e le loro famiglie, tra cui gravidanze indesiderate, stigmatizzazione e ostracismo da parte della propria comunità. Gli sforzi per fornire riparazioni ai sopravvissuti alla violenza sessuale legata al conflitto sono stati intrapresi con un certo successo. Tuttavia, nonostante tali riparazioni siano un obbligo degli Stati in base al diritto internazionale, i casi in cui le vittime di violenza sessuale legata al conflitto hanno ricevuto riparazioni per le vittime di violenza sessuale legata al conflitto rimangono un'eccezione, piuttosto che la regola.
Alla luce di quanto sopra, e sulla base delle informazioni raccolte in Afghanistan, Repubblica centrafricana, Colombia, Congo, Iraq, Libia, Mali, Myanmar, Somalia, Sud Sudan, Repubblica araba siriana, Yemen, Bosnia ed Erzegovina e molte altre, questo estremamente interessante Rapporto, che copre il periodo tra Gennaio e Dicembre 2018, mira a fornire una panoramica generale sulla violenza sessuale, illustrando le sue caratteristiche comuni in contesti di conflitto e post-conflitto.
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