A lezione di attivismo con il Premio Nobel per la Pace Kaylash Sathiarthy

Insieme contro lo sfruttamento infantile: Il premio Nobel per la Pace Kailash scatta un selfie con un gruppo di studenti Insieme contro lo sfruttamento infantile: Il premio Nobel per la Pace Kailash scatta un selfie con un gruppo di studenti © Clara Cotroneo

una riflessione personale di Clara Cotroneo

Avere l’opportunità di seguire una lezione del Premio Nobel per la Pace è un evento raro ed eccezionale per molti, studenti e non.

E proprio quando l’evento sta per iniziare, tra l’attesa e l’entusiasmo, potrà capitare di chiederti se sarai in grado di seguire la lezione e capirla, e se sì, quale lezione una storia tanto eccezionale possa insegnarti che ti cambi la vita.

Ma tutte queste preoccupazioni subito si dissipano non appena Kailash Satyarthi, Premio Nobel per la Pace, inizia a parlare al Vesalius College di Bruxelles. Abile e amichevole comunicatore, Satyarthi sa come parlare ai suoi ascoltatori, una dote molto utile ad un attivista in azione. Essendosi battuto per 30 anni contro lo sfruttamento infantile e per il diritto all’educazione, adesso vuole convincere te a diventare come lui, ad accompagnarlo nella lotta. Instancabile attivista, dopo aver salvato più di 80.000 bambini in India, non riesce a fermarsi, semplicemente perché si rifiuta di accettare che anche solo un bambino sia sfruttato.

Attraverso il racconto della sua vita, riusciamo a capire cosa lo abbia fatto diventare un attivista. Nato da un’ordinaria famiglia della classe media Indu, la prima fiamma contro l’ingiustizia sociale sfavilla quando sta per iniziare ad andare a scuola. Mentre sta per entrare a scuola, i suoi occhi incrociano quelli di un ragazzino della sua stessa età mentre lavora con suo padre, un riparatore di scarpe. Chiede alla sua maestra perché il bambino non è a scuola come lui, e gli viene spiegato che deve lavorare per aiutare la sua famiglia. Non convinto dalla spiegazione, decide di chiedere direttamente al padre del bambino. Il padre non ha mai pensato di mandare suo figlio a scuola, lavorare era quello che in famiglia si fa da generazioni.

É lo status quo, secondo Satyarthi, e le tradizioni familiari che devono essere messi in discussione, sfidati per raggiungere l’uguaglianza sociale. Il suo primo tentativo di sfidare il sistema sociale delle caste in India non ha successo. All’età di 15 anni, mentre in India si celebra l’anniversario di Gandhi, il tema degli ‘intoccabili’ è al centro del dibattito politico. Contento di sentire molti politici criticare la divisione tra caste basse e alte, decide di mettere le due caste insieme a cena. Invita politici locali e ufficiali del governo a una cena preparata da persone di una casta bassa. Messi alla prova, nessuno degli invitati si presenta all’evento, ognuno con una scusa diversa.

Kailash viene riportato alla sua famiglia e gli viene chiesto di scusarsi per aver offerto del cibo cucinato dagli intoccabili ai politici locali. All’ipocrisia delle autorità locali reagisce allontanandosi da tutti, famiglia inclusa. Inizia a distanziarsi adottando un nuovo soprannome, Satyarthi, ‘Colui che cerca la verità’. Subito dopo, non gli resta che accettare le conseguenze delle sue azioni, ossia l’emarginazione dal nucleo familiare. Questi episodi gli insegnano due lezioni importanti: che l’ingiustizia sociale è a volte il risultato di tradizioni e valori sociali e familiari profondamente radicati. E che le autorità, a volte, non solo devono essere guardate ed ascoltate con diffidenza, ma devono anche essere sfidate.

Oltre ad aver partecipato personalmente ad operazioni di soccorso, per esempio dirigendo dei raid in fabbriche e case chiuse per salvare bambini forzati a lavorare, Kailash si occupa anche del quadro legale e delle politiche che favoriscono lo sfruttamento dei minori, sia in India che nel resto del mondo. Nel 1998 conduce una marcia globale contro lo sfruttamento dei minori, che si conclude a Ginevra dove l’Organizzazione Mondiale del Lavoro sta discutendo le politiche da mettere in atto per ridurre il fenomeno globalmente. La voce dei manifestanti viene ascoltata e 150 nazioni firmano la Convenzione 182, impegnandosi quindi ad eliminare le forme peggiori dello sfruttamento infantile.

Kailash è un portavoce amichevole e coinvolgente, non sorprende che abbia l’abilità di fare campaigning e di sensibilizzare i suoi ascoltatori. Alla fine della lezione riesce a strappare una promessa a tutti i presenti: ognuno di loro si unirà al movimento per la lotta ai diritti dei minori e si iscriverà alla sua ultima campagna ‘100 milioni per 100 milioni’. Lo scopo della campagna è di mobilizzare 100 milioni di giovani affinché supportino i diritti di 100 milioni di bambini in tutto il mondo.

Ma qual è la lezione più importante che impariamo oggi attraverso il suo intervento e il suo lavoro? Che quello che importa per diventare attivisti e difensori dei diritti umani sono due elementi: rabbia e compassione. La compassione, secondo Kailash, ci aiuta a sentire il dolore degli altri, come se fosse il nostro e che ci ispira ad agire, invece che ignorarlo. La rabbia, invece, è l’energia che supporta l’azione. Ispirato dalle azioni di Ghandi, la rabbia di cui Kailash parla non si riferisce all’emozione negativa da cui scaturiscono violenza e vendetta. Piuttosto, si tratta di una forza che porta alla pace. Senza rabbia e compassione, Kailash non avrebbe potuto salvare più di 80.000 bambini in India.

Per spiegare come questi due sentimenti lavorano insieme, Kailash ci offre un esempio. La compassione l’ha mosso ad aiutare un padre che ha bussato alla sua porta, disperato, chiedendogli di aiutarlo a liberare la sua bambina di 15 anni venduta ad una casa chiusa. Kailash spiega di aver fatto per quell’uomo quello che avrebbe fatto se la giovane ragazza fosse stata sua figlia. Spinto dalla rabbia per l’ingiustizia che entrambi, padre e figlia, stavano soffrendo, ha deciso di offrirle un posto dove stare a casa sua, mettendo a rischio la sua vita. La storia ha un lieto fine: le forze di polizia sono intervenute salvando 36 donne e bambini che lavoravano nella stessa casa di cura. Tuttavia, ci ricorda Kailash, molti altri sono ancora da salvare.

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