Il 7 aprile 2018 nel territorio siriano di Douma, nella periferia della capitale Damasco, 43 persone sono morte a seguito di un’esplosione provocata da un attacco aereo. La responsabilità dell’attacco è stata da subito attribuita al governo siriano, ma l’incertezza sulle dinamiche dell’accaduto e sull’identificazione delle armi utilizzate suscitarono vari dubbi su questa ipotesi.
Pochi giorni dopo l’attacco, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPAC) – organismo di controllo della relativa Convenzione del 1997 – ha iniziato delle indagini per indicare gli effettivi esecutori dell’attacco e per verificare la presenza o meno di armi chimiche.
Nelle prime dichiarazioni rilasciate, il Presidente Bashar al Assad aveva negato il coinvolgimento dell’esercito siriano e l’avvenimento stesso, confutando anche la presenza di morti e feriti. Infatti, sia il governo siriano che quello dell’alleato russo avevano sostenuto l’inesistenza dell’attacco stesso, accusando le forze opposte al regime di Assad di aver diffuso una notizia falsa.
Secondo la tesi siriana, la denuncia da parte dell’OPAC sarebbe stata parte di un piano strategico dell’Occidente per indebolire il regime. In seguito ai presunti fatti di Douma, il sospettato coinvolgimento siriano portò Stati Uniti, Francia e Regno Unito a condurre un’offensiva missilistica nel paese. Il Presidente americano, al tempo Donald Trump, e quello francese, Emmanuel Macron, iniziarono una massiccia campagna mediatica contro il regime siriano, dichiarando di essere già in possesso delle prove sull’utilizzo di armi chimiche. Nel suo rapporto preliminare del 2019, l’OPAC ha però riconosciuto l’esistenza dell’attacco e incolpato il regime siriano di Assad di esserne il responsabile. Inoltre, dalle prime ricerche preliminari è stata verificata la presenza di armi chimiche. Negli anni successivi, le ispezioni condotte dall’OPAC sui siti dell’esplosione hanno infatti riscontrato tracce di cloro e di gas nervino. Infine, le dichiarazioni dei superstiti e dei testimoni oculari non hanno lasciato dubbi sul coinvolgimento del governo siriano.
Le indagini dell’OPAC si sono ufficialmente concluse a inizio febbraio 2023. Dopo cinque anni di ricerche è stato infatti possibile concludere non solo che l’attacco aereo si è effettivamente verificato – quindi screditando le iniziali dichiarazioni diffuse da Siria e Russia – ma anche che il responsabile sia stato proprio il governo siriano.
Nel report diffuso, gli investigatori in loco dell’Organizzazione hanno infatti ribadito quando inizialmente riscontrato nel 2019, fornendo prove fotografiche schiaccianti a riprova dell’attacco. Le rilevazioni ottenute sul territorio hanno dimostrato la presenza di materiali chimici, in particolare cloro e gas nervino. Inoltre, grazie ai sopravvissuti e a testimoni oculari dell’accaduto è stato possibile ricostruire le dinamiche e le tempistiche dell’attacco aereo.
Al termine dell’indagine il portavoce dell’OPAC ha consegnato l’intero fascicolo relativo all’attacco nelle mani del Consiglio di Sicurezza ONU, lasciando ad esso la decisione su una possibile risposta internazionale.
Il gas nervino, trovato nei siti dell’esplosione, è considerato l’agente chimico più letale al mondo; data la sua pericolosità le Nazioni Unite lo hanno classificato come arma di distruzione di massa. L’utilizzo delle armi chimiche nei conflitti è infatti severamente proibito dalla Convenzione sulle Armi Chimiche, di cui la Siria è uno Stato parte. L’adesione al trattato impone al paese di fornire tutte le informazioni necessarie in merito a un possibile utilizzo nel proprio territorio e di facilitare le operazioni di verifica per gli operatori dell’OPAC – azioni che la Siria non ha compiuto. Il coordinatore della squadra di ispezione e identificazione, Santiago Onate Laborde, ha infatti accusato il paese di aver tentato di intralciare e ostacolare le indagini non fornendo le informazioni richieste.
La consegna del fascicolo al Consiglio di Sicurezza ONU segna la fine di un’indagine durata quasi cinque anni e pone un difficile interrogativo in seno alle Nazioni Unite che dovranno decidere in che modo rispondere a questa grave violazione internazionale. Come riportato dallo stesso portavoce UN, l’utilizzo di armi chimiche pone un “inaccettabile minaccia” e un “serio pericolo per tutti”.
Per leggere il rapporto in lingua originale:
https://news.un.org/en/story/2023/02/1133252
di Federica Tognolli