Nel settembre 2020, Mercy Corps ha presentato il rapporto “La necessità di una buona governance e peacebuilding ai tempi del COVID-19. Lezioni dal Nordest della Nigeria”. Il diffondersi del virus negli scenari di conflitto ha portato i donatori a dirigere i propri sforzi verso l’ambito sanitario. Per quanto tale scelta sia giustificata, la necessità di sostenere programmi di peacebuilding e governance rimane centrale per la lotta contro il virus. La presenza di un rapporto di fiducia stabile tra lo stato e la comunità è alla base dell’implementazione di politiche sanitarie. Infatti, indipendentemente dalla validità di un programma, se le persone dubitano degli intenti di chi lo propone questo è sostanzialmente vano. Inoltre, l’abbandono di un dialogo cooperativo porta ad una maggiore disinformazione e polarizzazione che, creando una percezione distorta, intensifica gli attriti. L’organizzazione non governativa ha quindi analizzato i principali fattori che legano le dinamiche conflittuali preesistenti e la gestione dell’attuale pandemia. La ricerca è stata portata avanti attraverso lo studio comparato di oltre 40 paesi, esemplificando questa relazione con un’analisi quantitativa e qualitativa dell’attuale crisi nello stato nigeriano del Borno.
Il report delinea tre fattori che legano il conflitto alla lotta al COVID-19. Il primo è la limitata presenza e legittimazione dello stato, che porta a sfiducia e resistenza nei suoi confronti. Il secondo consiste nell'effettiva o percepita marginalizzazione di un settore della società. Il terzo si lega all’inattività o assenza della società civile, al conseguente aumento di disinformazione e alla diminuzione degli spazi civici di dibattito ed interazione con le istituzioni statali. In questo modo, le persone si affidano sempre di più agli attori non-statali - generalmente armati - per la risoluzione delle controversie. Guardando alla pandemia, la necessità di imporre misure restrittive viene percepita come un attacco da parte dello stato, diminuendone la legittimità e rendendo ancora più difficile implementare misure efficaci. Le persone, quindi, tendono a non rispettare le misure di lockdown, evitano di rivolgersi a strutture pubbliche e non utilizzano le tecnologie di tracciamento. Si crea così un circolo vizioso, in cui la già ridotta presenza dello stato impedisce a quest’ultimo di agire efficacemente e in maniera legittima. Queste regioni diventano, così, le più colpite dalla pandemia e le persone si affidano ad altri attori per i propri bisogni, aumentando ancora di più gli attriti con lo stato.
Questo circolo trova il suo apice in Nigeria, dove gli scontri tra Boko Haram e il governo hanno originato nel Borno più di 1.8 milioni di rifugiati interni (IDPs) e 1.2 milioni di persone irraggiungibili dall’assistenza umanitaria. La regione è sempre stata caratterizzata da forti tensioni, nepotismo e corruzione - Boko Haram stesso ha sfruttato ed esacerbato questi attriti per guadagnare consenso. Il virus è arrivato, quindi, in un ambiente marcato da frammentazione, polarizzazione e dieci anni di conflitto. Oggi il governo in Borno si ritrova a combattere il virus senza di fatto avere accesso ad alcune aree e con tensioni crescenti per le misure sinora implementate. Inizialmente, il virus era considerato solo una truffa attuata dai politici per ottenere i fondi internazionali. Con il lockdown, tre imam sono stati minacciati per aver mantenuto la preghiera del venerdì, le scorte di cibo erano di qualità infima e la loro distribuzione ha privilegiato gli affiliati al governo, le elezioni sono state posticipate e non vi è un dialogo diretto con le autorità locali. Guardando ai principali attori, nella regione il governo è di fatto rappresentato dall’esercito, che, vedendo i locali come possibili affiliati ai gruppi armati, ha perpetuato estorsioni e violenze. I leader locali e religiosi tradizionalmente agiscono da intermediari, ma i favoritismi da loro dimostrati durante il lockdown hanno finito per delegittimarli. I gruppi armati hanno strumentalizzato le cause e gli effetti del virus per il proprio tornaconto, aumentando sfiducia e disinformazione nella regione. Infine, l’azione umanitaria, limitata da diversi intermediari, è percepita come privilegiata verso gli IDPs, aumentando le tensioni interne e facendo da push factor verso i campi - ritenuti luoghi ben serviti e sicuri. La Nigeria esemplifica, quindi, come la preesistenza di tensioni sociali abbia pesantemente intaccato la lotta al COVID-19, che a sua volta ha esacerbato le cause del conflitto stesso.
Mercy Corps invita i principali attori ad avere una maggiore sensibilità verso il contesto conflittuale in cui operano. Questo deve tradursi in programmi in grado di integrare le buone pratiche o crearne di nuove che, oltre a fronteggiare il virus, rafforzino il rapporto di fiducia tra stato e società. In senso più ampio, la comunità deve essere coinvolta non solo nella comprensione dei propri bisogni, ma in tutte le fasi di progettazione ed implementazione. Tale integrazione è alla base di una conoscenza approfondita delle dinamiche di conflitto e degli effetti delle soluzioni proposte. In aggiunta, la partecipazione attiva delle comunità crea un senso di appartenenza al programma che ne garantisce l’effettiva implementazione. Tuttavia, per ottenere questo risultato, è innanzitutto necessario spezzare il circolo vizioso della sfiducia attraverso la creazione di spazi di comunicazione e meccanismi di feedback per implementazione. È importante, quindi, generare un processo di peacebuilding conscio del suo contesto, che sia in grado di eliminare le ineguaglianze di potere e asimmetrie informative e che possa permettere una risposta efficace al COVID-19.
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Autore: Matteo Consiglio; Editor: Margherita Curti