Siria

Rapporti

Questo articolo è la presentazione di un rapporto del Comitato Internazionale della Croce Rossa sullo stress idrico in Siria causato dalla guerra in corso 

Oltre dieci anni di guerra in Siria hanno portato alla distruzione degli impianti idrici in tutto il paese, riducendo l’accesso all’acqua potabile per milioni di persone. Rispetto a un decennio fa, la Siria ha ora il 40 per cento in meno di acqua potabile, come rivelato nell'ultimo rapporto pubblicato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), e mentre le cause della scarsità d'acqua sono complesse, l'attuale situazione idrica in Siria è, in parte, una diretta conseguenza del conflitto in corso.

Il rapporto del CICR sulla situazione in Siria ha rilevato che, prima del 2010, prima dell’inizio dei combattimenti, il 98 per cento delle persone nelle città e il 92 per cento delle persone nelle aree rurali poteva accedere regolarmente all'acqua pulita. Oggi solo il 50 per cento dei sistemi idrici e sanitari è in funzione. I sistemi idrici e igienico-sanitari sono stati gravemente danneggiati dai combattimenti e, a causa della mancanza di manutenzione e manodopera per il corretto funzionamento degli impianti, sono al collasso. I principali impianti di acqua potabile in tutto il paese sono stati gravemente colpiti dai combattimenti e il rischio di contaminazione delle falde idriche nell'area che circonda le città di Damasco e Aleppo è pericolosamente alto dopo che un impianto di trattamento delle acque reflue che serve le due città è stato distrutto negli scontri, causando il rilascio di acque reflue non trattate nell'ambiente naturale e ponendo seri rischi per la salute di milioni di persone. Nel Governatorato di Hassakeh, nel nord-est della Siria, una regione duramente colpita dal conflitto e che continua ad ospitare un gran numero di sfollati interni e rifugiati di lunga durata dai paesi vicini, ogni giorno almeno 700.000 persone sono colpite dalla crisi idrica. Anche l'infrastruttura energetica è stata gravemente danneggiata, causando una riduzione nella fornitura elettrica del 70 per cento. 

I sistemi locali che forniscono servizi di base come l'accesso all'acqua potabile, l'assistenza sanitaria e l'elettricità sono tutti interconnessi. È inevitabile quindi che un'interruzione dell'alimentazione elettrica abbia un impatto considerevole sulle operazioni di approvvigionamento idrico, che, a loro volta, possono avere gravi effetti a catena sul funzionamento delle infrastrutture essenziali, comprese le strutture sanitarie. Inoltre, la limitata disponibilità di acqua potabile ostacola gravemente le misure igieniche attualmente essenziali per la prevenzione e la cura del Covid-19.

Oltre allo sconvolgimento causato dalla guerra, i paesi colpiti dai conflitti stanno affrontando anche le sfide associate al cambiamento climatico. La Siria, infatti, stava già sperimentando la scarsità d'acqua prima della guerra, come molti altri paesi nel mondo attraversati dai conflitti. Gli studi riportano costantemente la sproporzionata vulnerabilità di questi paesi alle conseguenze del cambiamento climatico e del degrado ambientale. Tragicamente, la scarsità d'acqua spesso porta poi a un'instabilità ancora maggiore nel paese. Quest'estate, l'intera regione ha visto la peggiore siccità degli ultimi 70 anni, con temperature in aumento e livelli record di precipitazioni che hanno privato la Siria e il vicino Iraq di acqua potabile e agricola.

In un paese alle prese con le conseguenze di un decennio di guerra, gli effetti combinati del conflitto e del degrado ambientale stanno esaurendo le risorse umanitarie. Diverse organizzazioni internazionali e gruppi di aiuto hanno espresso la loro preoccupazione per la crisi idrica in corso, avvertendo che il collasso totale della produzione di acqua e cibo è imminente. Il CICR chiede con urgenza ai paesi donatori di unirsi per trovare soluzioni pratiche per evitare una catastrofe umanitaria.

 

Per saperne di più:

https://reliefweb.int/report/syrian-arab-republic/syria-water-crisis-40-less-drinking-water-after-10-years-war 

https://www.icrc.org/en/document/syria-water-crisis-after-10-years-war

 

Autore: Giulia Ferrara

8 luglio 2019

A seguire la presentazione del rapporto “Un Ritorno a Casa Incerto: cosa pensano i rifugiati siriani in Giordania del ritorno, della giustizia e della coesistenza”, pubblicato a maggio 2019 dal centro internazionale per la giustizia di transizione.


Il centro internazionale per la giustizia di transizione (ICTJ) ha pubblicato a maggio 2019 il rapporto di ricerca di Cilina Nasser e Zeina Jallad Charpentier intitolato “Un ritorno a casa incerto: cosa pensano i rifugiati siriani in Giordania del ritorno, della giustizia e della coesistenza”. Lo studio ha il fine di affrontare e documentare le ripercussioni del conflitto e del trasferimento forzato nei campi di accoglienza sui rifugiati siriani in Giordania. Si è voluto così migliorare la conoscenza delle esperienze individuali e collettive dei rifugiati siriani. Il rapporto è considerato come la continuazione di un progetto di ricerca pubblicato nel 2017 dal titolo “Non senza la dignità: cosa pensano i rifugiati siriani in Libano del trasferimento forzato, delle condizioni di ritorno e della coesistenza”, incentrato principalmente sulle esperienze dei rifugiati siriani provenienti da Daraa, Homs e Swayda.

I ricercatori hanno condotto delle interviste a 121 rifugiati siriani, di età compresa tra i 18 e i 75 anni. Dei 121 intervistati, 64 uomini e 57 donne, di tutte le fedi, la maggioranza ra composta da musulmani sunniti. A loro sono state rivolte una serie di domande per sapere cosa pensavano del ritorno a casa, della giustizia e della coesistenza. 

La Giordania, uno dei paesi che ospita la più grande comunità di rifugiati nel mondo secondo l’Agenzia ONU per i rifugiati (UNHCR), accoglie quasi 1.5 milioni di rifugiati siriani secondo una stima del governo. Un dato questo che supera di gran lunga i 670.238 rifugiati siriani ufficialmente registrati dall’UNHCR, probabilmente dovuto all’accoglienza di molti rifugiati non registrati e all’inclusione di rifugiati che arrivarono nel Paese nel 1980 e 1990. La gran parte dei rifugiati siriani sono arrivati in Giordania tra il 2012 e il 2013 a causa degli intensi disordini politici e delle violenze in Siria. Dal febbraio 2018, l’80% dei rifugiati registrati accolti dalle comunità ospitanti giordane vive al di sotto della soglia di povertà. 

Dal rapporto emerge che, in relazione al tema del ritorno in Siria, la gran parte dei rifugiati mostra preoccupazione sulla propria incolumità e sicurezza. In particolare, i rifugiati di Daraa affermano di aver paura di subire misure governative di ritorsione, come l’arresto o la detenzione, e pensano che siano troppo elevati i danni alle abitazioni bombardate da permettere il loro ritorno in Siria. Sul tema della giustizia, i rifugiati hanno rilevato una certa sfiducia nei confronti del governo e delle organizzazioni internazionali in termini di assunzione di responsabilità per il proprio operato. Secondo quanto riportato, l’assunzione di responsabilità, il recupero e la ricostruzione delle proprietà distrutte durante il conflitto sono i veri obiettivi per ottenere giustizia. Infine, in merito alla coesistenza, il rapporto rivela una profonda disparità nelle opinioni espresse, in quanto diverse in base alla provenienza dei rifugiati. Per esempio, alcuni rifugiati sunniti di Bosra al-Sham a Daraa non vogliono più relazioni con i siriani della Shi’a in quanto sono accusati di aver istigato la violenza. Contrariamente, alcuni rifugiati di questa zona sono convinti che la coesistenza sia possibile. Allo stesso modo alcuni rifugiati di Homs hanno dichiarato che non saranno mai più in grado di coesistere con certe comunità e preferiscono stabilirsi in un altro paese. 

I risultati del presente rapporto suggeriscono che la Giordania e i paesi ospitanti non debbano forzare i rifugiati a far ritorno in Siria. La comunità internazionale e i donatori dovrebbero concedere finanziamenti per sostenere le necessità di base dei rifugiati nei paesi ospitanti. Le esigenze e i diritti dei rifugiati dovrebbero essere al centro del quadro programmatico realizzato dalla comunità internazionale e del governo siriano. La comunità internazionale non può consentire soluzioni politiche che concedono l’impunità a coloro che sono responsabili di crimini sistematici. Infine, il rapporto mette in luce la forza e la determinazione dei rifugiati siriani nel far presente le problematiche che alimentano le loro esitazioni, paure e speranze di far ritorno in Siria. Si focalizza l‘attenzione suI ruolo chiave che il governo siriano, i paesi ospitanti e la comunità internazionale hanno nell’individuare soluzioni durature per i rifugiati.  

 

La versione originale del report è disponibile qui: https://www.ictj.org/sites/default/files/ICTJ_Report_SyrianRefugees_Jordan_Final.pdf

 

Autrice: Cecilia D’Arville; Traduttrice: Simona Smacchi